I ritratti accompagnano la Storia dell’Arte sin quasi dalle sue origini. Il mito vuole che una fanciulla conosciuta come la Figlia di Butade, innamorata del suo amato prossimo a lasciarla per un lungo viaggio, mentre egli dormiva ne disegnò i contorni proiettati sul muro dalla luce di un fuoco. Il padre Butade, vedendo il disegno e riconosciutone il profilo del giovane amato dalla figlia, ne riempì i contorni con della creta che poi colorò. Così, nel mito della Grecia arcaica, ci si tramanda la nascita della scultura e della pittura non decorativa dedicata alla rappresentazione umana.
Il desiderio di rappresentare figure umane, e nello specifico i ritratti, è all’origine della mia passione per la pittura. Nella ritrattistica c’è un atto di amore verso il prossimo che si manifesta solo se l’autore riesce a coglierne sia lo spirito che l’anima. Può apparire retorico, ma la profonda sensazione di comunione con la natura che si prova nell’esecuzione di un ritratto non ha per me alcun equivalente emotivo o intellettuale. Il pittore Maurice Denis sosteneva che: “… un quadro, prima di essere un cavallo da battaglia, un nudo o un aneddoto qualunque, è essenzialmente una superficie piana coperta da colori disposti in un certo ordine”. Questa sua affermazione non è a mio avviso applicabile al Ritratto più di quanto non lo sia l’affermare che un libro è un’aggregazione di fogli di carta sui quali sono apposti con l’inchiostro dei segni alfabetici in righe ordinate. C’è un momento preciso in cui in un ritratto cessa completamente la fase di aggregazione dei colori e l’insieme assume una vita propria ed autonoma. È un momento non scontato, che nasce solo se il lavoro è stato svolto con energia e partecipazione; se la magia accade, l’opera riesce a comunicare lo spirito che anima colui che è ritratto, rendendolo nella tela un’idea immortale e immutabile: un’eternità racchiusa in un momento e in uno spazio. Oscar Wilde nel suo “Il Ritratto di Dorian Gray” ce lo ricorda simbolicamente con la sua interpretazione dell’animo umano. Lo spirito delle persone ritratte diventa eterno grazie a quell’attimo che le coglie fissato in una dimensione atemporale, mentre l’immagine di un uomo su una fotografia è destinata ad invecchiare con essa, subendone inevitabilmente il dominio del tempo.